“Il Maestro ed i compagni della scuola che fu” è un racconto autobiografico che ci trasporta indietro nel tempo, nella semplicità e autenticità dell’Italia rurale del dopoguerra. Vasco Merciadri ci guida attraverso i suoi ricordi d’infanzia, dipingendo con vividi dettagli la vita in un piccolo borgo, dove la comunità era il cuore pulsante di ogni attività. Attraverso i suoi occhi, riviviamo un’epoca in cui i valori della solidarietà e della condivisione erano al centro della vita quotidiana.
Sono nato in un paesino, Stiava, nell’entroterra della Versilia.
Vivevo in Piazza della Chiesa, che allora mi sembrava grandissima, ma che era poco più che un cortile.
Con la mia famiglia abitavamo una parte della grande casa della nonna e delle zie, la casa patriarcale.
Sono nato e ho vissuto i primi dieci anni della mia vita in un ampio sottotetto, praticamente una soffitta, con il mio lettino sotto una finestra da cui si vedeva tutta la piazza e con un nido di rondine proprio sotto la grondaia.
Allora non c’erano i centri commerciali ed i supermercati e nella piccola piazza si trovavano la merceria, la bottega di alimentari della nonna, con tante cioccolate e caramelle che rubavo quasi tutti i giorni, il carretto della verduraia, la “scarpara” che vendeva le scarpe, la mesticheria, l’osteria e la misericordia di Stiava con un’unica vecchia autoambulanza e annessi ambulatori ed abitazione del medico condotto, il fotografo e la canonica.
Quindi tutto quello che serviva nel paese, in un periodo povero, con l’Italia uscita da poco dalla guerra ed ancora in gran parte in rovina.
I ragazzi ed i bambini, soprattutto d’estate, andavano scalzi. Le scarpe erano care per molte famiglie.
Nella botteghe si vendeva solo roba sfusa: pane, pasta, verdure, zucchero, sale, baccalà, che venivano rincartati in carta gialla, ottenuta dalla paglia.
La scuola era situata dall’altra parte del paese, con molti più bambini di adesso.
E tutti vi andavamo a piedi, certamente non accompagnati in automobile, visto che in tutto il paese ve ne erano solo tre!
Per fortuna c’era il maestro unico, che tra l’altro ricordo con molto piacere e nostalgia: Giulio Neri, robusto, tarchiato, con calvizie incipiente e profondi occhi azzurri che facevano trasparire la sua saggezza e bontà.
Era un po’ un padre per tutti, con una classe veramente assortita al punto da sembrare una pluriclasse, con bambini e ragazzi che arrivavano addirittura ai 18 anni d’età!
Alcuni avevano ripetuto 4 volte la prima e 3 volte la seconda.
Ma il mio Maestro non riprovò mai nessuno!
C’erano ragazzi con gravi problemi personali sociali, spesso provenivano da famiglie molto povere che avevano 12 figli o che vivevano in casupole nel bosco o sulle colline che circondano a forma di conca questa bellissima valle al cui centro sorge Stiava.
Mondo ben diverso da quello di oggi in cui i bambini hanno perduto la loro infanzia e la loro libertà!
Si saliva sugli alberi, si facevano le bande e le guerre tra gruppi di ragazzi, ma nessuno si faceva male, a parte qualche ginocchio sbucciato e soprattutto i genitori non interferivano.
In autunno tutti alla raccolta dell’uva, poi delle castagne, dei funghi a novembre delle pine per accendere il camino.
Niente tv, automobili come già detto pochissime, ma tanta voglia di giocare e di stare insieme.
E a scuola tutti felici, con il Maestro gentile, ma severo al momento giusto.
Tante cose da fare:
andare in cortile a prendere la legna e poi accendere la stufa in classe, giocare a pallone nel cortile durante la ricreazione, con vecchie palle ormai sgonfie.
Comprare palloni nuovi era caro per noi bambini.
Poi in classe tutti seduti su banchi di legno e vecchie carte geografiche ingiallite alle pareti.
Il Maestro sempre attento a tutti. Ci parlava dei popoli del mondo, ci raccontava degli yogi indiani (e chi di noi ne aveva mai sentito parlarne allora?) che controllavano la respirazione e regolavano la loro temperatura corporea.
Poi ci spiegava le piante, ci insegnava a riconoscerle. Poi raccontava delle montagne con i ghiacciai e delle cascate d’acqua, dove lui era solito bagnarsi.
Tutti ammirati ed incantati, con gli occhi che brillavano dalla curiosità, visto che eravamo al massimo abituati a conoscere i paesi vicini al nostro!
Il Maestro ci diceva sempre di ascoltare le persone anziane perché erano fonte di saggezza.
Lui stesso, una volta terminate le lezioni, andava sempre a trovare un contadino che abitava nei pressi della scuola.
Era centenario, e a detta del Maestro, molto saggio.
E parlavano molto, ma non solo del tempo e dei raccolti.
Il vecchio Giuseppe, così si chiamava, era arguto e molto lucido e si esprimeva sempre con pacatezza e consapevolezza.
Passava molto tempo al sole, su di una panca di fronte al suo casolare, visto che per l’età non era più in grado di fare lavori pesanti.
Un giorno il Maestro, eravamo in primavera, decise di portarci sul Collespino, il colle più alto tra quelli che circondavano il paese.
A dir la verità facevamo di volta in volta belle passeggiate in campagna o in collina per riconoscere le erbe e le piante, ma era la prima volta che ci cimentavamo su qualcosa di più impegnativo.
Grande giubilo per tutti i compagni. La notte precedente addirittura non riuscivo a dormire! L’idea di salire Collespino mi eccitava!
Partimmo alle 8.30 del mattino, tutti con la merenda in una sacca.
Il mio compagno di banco, Lucianino, non stava in sé dalla gioia.
Quindi a camminare attraverso gli oliveti e le pinete, tra ginestre e corbezzoli.
Man mano che salivamo l’orizzonte si ampliava giù fino a Viareggio, fino al Lago di Massaciuccoli, fino al padule e quindi al mare, ampia distesa blu con le isole dell’Arcipelago Toscano, soprattutto Capraia e Gorgona che si intravedevano nella foschia all’orizzonte.
Dopo una salita, che allora mi sembrò lunghissima, giungemmo alla sommità, dove in una piccola casetta viveva un contadino che coltivava la vigna ed il castagneto circostanti.
Sull’angolo della casetta cresceva un ciliegio, antico e particolare, per me misterioso e meraviglioso in quanto faceva le ciliegie gialle e non rosse. Una vecchia cultivar delle nostre colline.
Il Maestro si intrattenne molto col contadino, quasi si conoscessero da tanto tempo e parlavano dei raccolti, dell’uva e delle castagne e dell’inverno che era stato troppo piovoso.
E noi ragazzi a giocare a guardie e ladri e a nascondino tutto intorno.
Poi ci fermammo per mangiare e mi sedetti proprio sotto il ciliegio, ricco di moltissimi anni, con il tronco grosso e nodoso che ricordava almeno un centinaio di stagioni.
Sono passate molte primavere, il Maestro riposa nella valle dei Giusti e purtroppo anche alcuni compagni hanno lasciato questo piano di esistenza.
A me piace tuttora camminare in campagna e sulle colline e qualche tempo fa il destino mi ha portato di nuovo a Collespino.
Gli antichi sentieri sono ahimè scomparsi sostituiti da strade forestali e percorrendole ritornai comunque sulla sua sommità.
La casetta è stata ampliata e trasformata in bed & breakfast, in fantastica posizione panoramica.
La vigna non c’è più lasciando posto a pascoli per cavalli da trekking, che alloggiano in una scuderia sul retro della costruzione.
Tutto è ormai cambiato, ma nell’angolo della casa resiste ancora il vecchio ciliegio.
Mi sono seduto alla sua ombra e ho rivissuto i tempi delle elementari, col Maestro buono ed affettuoso e che mai perdeva la pazienza, con gli amici con cui si giocava a pallone e si saliva sugli alberi, con la tristezza del sabato perché il giorno successivo non ci saremmo trovati a scuola con il Maestro.
Il tempo è passato ma le cose buone rimangono nel nostro cuore tra i ricordi indelebili di un Maestro e di una scuola che fu.
Vasco Merciadri