Nel capitolo 11 del racconto “Di savana e di montagne” di Vasco Merciadri, intitolato “Di fronte al sé”, l’autore ci conduce in un viaggio profondo e intimo attraverso i pensieri e le riflessioni esistenziali del protagonista. Qui, siamo posti di fronte alle domande universali che ogni individuo, prima o poi, si trova ad affrontare: il significato della vita, il senso del tempo che scorre inesorabile, e la consapevolezza della propria finitezza.
Estratto del racconto “Di Savana e di Montagne”.
Capitolo 11 – Di fronte al sé
Come molti, ho vissuto, soprattutto negli anni della prima giovinezza (giovane mi considero ancora), progettando il futuro: laurearsi, lavorare, magari formare una famiglia. Il futuro era sempre domani. Ma ormai era giunto! La laurea ed il lavoro erano mete realizzate, anche se spostiamo l’asticella sempre più avanti.
Mi ricordo nitidamente una sera di turno in pronto soccorso, come sempre impegnativa. Poi un momento di quiete ed improvvisamente una percezione: il futuro è finito. È qui! Quello che volevo lo sto realizzando! E ora? Ho raggiunto una particolare felicità? Devo sempre guardare in avanti?
Un’onda nera di angoscia e di tristezza mi travolse: che senso aveva tutto questo? Che ne sarà di me? Tutta questa corsa, tutto questo impegno e studio e lavoro per la vita dove mi avrebbe portato? Magari dopo realizzazioni familiari e pure economiche, fino alla morte! E dopo alcuni decenni nessuno si sarebbe più ricordato che nemmeno ero esistito! Polvere sei e alla polvere ritornerai! Al nulla! Che tristezza! E le religioni, le preghiere, i proponimenti di comportarsi onestamente? Tutto mi sembrava illusione, mito e leggenda.
Del resto pochi giorni prima in un negozio di Massa, città dove allora lavoravo, avevo visto una bellissima foto delle lavandaie alla gora. Una foto dei primi del ‘900. Bellissima e nitida! Quasi tutte ragazzine, sorridenti, con i loro mastelli ripieni di biancheria. E cosa ne era stato di loro a distanza di tutti questi anni?
Nel negozio entrò una signora molto anziana e le chiesi: “Ha visto questa bella foto? Lei è di Massa e senz’altro conosce o ha conosciuto queste ragazze”. La signora inforcò gli occhiali, guardò intensamente i visi che sorridevano alla macchina fotografica quasi un secolo prima, poi mi rispose: “Vede, quella ragazzina là in fondo forse l’ho conosciuta. Lo sguardo era lo stesso ma era molto vecchia. Di tutte le altre non ho memoria”.
E tutti noi siamo come i personaggi di una foto che ha congelato un attimo per sempre. Un attimo di cosa? Tutto il resto è scomparso nell’oblio. Solo grandi scrittori o statisti sono ricordati dopo secoli, nel bene o nel male. Ma anche il loro ricordo sbiadisce. E tra centomila anni, ammesso che l’uomo non si sia estinto nel frattempo, chi si ricorderà più di Giulio Cesare, Alessandro Manzoni, Abramo Lincoln? Tutto si diluisce, diviene impalpabile, si scioglie come neve al sole. Figuriamoci cosa ne sarà di esseri umani comuni e correnti come la stragrande maggioranza di tutti noi!
Pensieri tristi: l’essere umano non vuole estinguersi, vuole perpetuarsi almeno nel ricordo, come sosteneva anche Ugo Foscolo nell’opera Dei Sepolcri. Ma il cambiamento, l’oblio sono inesorabili, più o meno lenti, ma inesorabili. L’istinto di sopravvivenza si esprime in mille modi, anche nella tenue speranza di un ricordo. Ero in preda a pensieri neri, ad una cupa tristezza esistenziale.
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