L’estratto che segue è tratto dal racconto “Il fiume scorre” di Vasco Merciadri e Daniele Boni. In questo momento cruciale, le vite di Oliviero ed Eleonora si intrecciano nuovamente dopo anni di separazione. Durante l’incontro, i due personaggi rivivono emozioni passate, affrontano vecchie ferite e scoprono nuove prospettive di vita, mostrando come il tempo e le esperienze possano trasformare e guarire le anime. Questo capitolo è una testimonianza della forza dei legami umani e della possibilità di riscoprire se stessi attraverso l’altro, in un flusso continuo di crescita e cambiamento, proprio come un fiume che non smette mai di scorrere.
Estratto del racconto “Il fiume scorre”.
Capitolo 21 – Ritrovarsi
“È possibile ritrovarsi?
Lo abbiamo appena fatto.”
Era una bella signora, con capelli ormai bianchi ma con un fisico ben conservato: affusolato e tonico. Gli occhi neri come carboncini illuminavano uno sguardo attento e penetrante.
Mentre le chiedeva alcune informazioni generali, il medico non resisteva a soffermarsi su quei lineamenti senza età, restando in attesa di un qualcosa che la sua memoria sembrava trattenere gelosamente. Pause ed intervalli stavano divenendo imbarazzanti, quando, con l’impetuosità di un’onda anomala, si arenò sulla distesa del proprio presente un’emozione adolescenziale imprigionata in un nome di donna: Myriam.
La paziente, da poco rientrata in Italia per concludere la vendita della casa di una zia, ne aveva approfittato per sottoporsi ad uno screening di controllo della propria salute; adesso si trovava di fronte al medico che, negli anni della sua assenza, aveva curato e guarito Gianluca, suo fratello, da una noiosa rinite allergica che gli aveva fatto compagnia fin da bambino.
“Non può essere”, pensava, mentre sentiva sempre più insistente la necessità di strappare dal plesso solare quel nome che rischiava seriamente di affaticare il suo respiro ed il suo cuore: “Ti chiami Myriam?”.
“No… o meglio, una volta mi presentavo con questo nome… quello vero, Eleonora, lo può leggere qui”, disse turbata allungandogli la sua tessera sanitaria. Poi, in seconda battuta, quasi indispettita: “Ma lei come fa a sapere che utilizzavo quel nome da ragazza? Ci conosciamo per caso?”.
Immagini in bianco e nero precedettero nella mente del medico quelle vibrazioni articolate che stavano per mettere in moto le sue corde vocali: una ragazzina di 15 o 16 anni, con un visetto circondato da una chioma fluente di riccioli neri, vestita di jeans e veramente carina.
“Ti ricordi di me? Sono Oliviero!”
Eleonora abbassò la testa nascondendosi dietro ai propri capelli, quasi schiacciata da quel fonema archetipico; poi un sussulto di orgoglio la fece ribattere:
“Oliviero? Pensavo ad un’omonimia, altrimenti non sarei certamente venuta in visita da te. Il cognome per giunta lo avevo dimenticato!”
Oliviero fu colto dalla stessa malinconica oppressione di quel giorno in cui aveva cercato di avvicinarla, ricevendo in cambio un trattamento ostile e repulsivo che fossilizzò i suoi sentimenti da poco sbocciati. Di mezzo c’era quasi una vita, numerose altre sconfitte e qualche vittoria, sempre che abbia senso trattare in maniera dualistica gli insegnamenti che si apprendono con l’esperienza diretta. Un moto di consapevole avversione verso il timore lo spinse oltre la sua timidezza:
“Allora avevo vent’anni, e tu mi facevi letteralmente impazzire! Poi sei scomparsa! Sapessi quanto ti ho cercata! Ma non riuscii più a rintracciarti! Eri sparita nel nulla! Non sapevo darmi pace!”
Un leggero sbuffo di vento mosse le tende della finestra, animando quel momento di profonda staticità, fece volare il foglio che il medico stava compilando sulle ginocchia di Myriam, costringendola ad un movimento veloce per afferrarlo. Mentre lo porgeva ad Oliviero non poté fare a meno di incrociare il suo sguardo sincero. Era lo stesso che ricordava di aver conosciuto, ma già una volta era stata delusa: la sua rabbia si risvegliò come fosse stata lì ad aspettare questo momento, come un felino con la sua preda.
“Perché non mi voleste più nel vostro gruppo di amici? Ero un po’ più giovane di voi e molto sola! Mi trovavo in Italia a casa di una zia, alla quale i miei genitori mi avevano affidata per salvarmi dalle guerre e dalle angosce del Medio Oriente. Nel mio paese d’origine la pace non ha fatto più parte dei sogni delle persone; dopo qualche anno anche i miei genitori riuscirono a fuggire ed insieme ci trasferimmo a Verona, dove mio padre aveva trovato lavoro.”
“Ricordo la guerra, ricordo il dolore nell’abbandonare i miei cari per venire qui, ma il dolore più grande che mi ha accompagnato tutta la vita è stato quello di sentirmi rifiutata da voi”. Una lacrima importunò il suo viso teso, la nascose abbassando nuovamente lo sguardo.
“Perché dici questo? Io ero innamorato della profondità dei tuoi occhi, capaci di turbarmi e attrarmi nello stesso tempo, della voglia di vivere e del dolore profondo che stranamente convivevano insieme. Ma come è potuto accadere che il mio affetto sia stato percepito come rifiuto?”
“Una ragazza, che pensavo fosse amica… mi disse che non ero ben accetta perché diversa per razza e cultura, e con idee troppo lontane dalle vostre. In particolare affermò che tu non potevi sopportare la mia trasgressività; ma se io davo l’impressione di comportarmi in maniera poco convenzionale, era soltanto perché disorientata e ingenua!”
“Chi è traumatizzata dal dolore per l’allontanamento dalla propria terra e dai propri affetti ha una profonda difficoltà a sentirsi accettata, o per lo meno così accadde a me! Fui contenta che i miei genitori mi raggiungessero, così come di trasferirmi in un’altra città. A Verona però mi chiusi ancora di più in me stessa, segregandomi in casa ed uscendo solo per frequentare la scuola. Ero convinta che non meritassi di essere felice e spensierata come i ragazzi della mia età e che il mio destino fosse quello di vivere una vita raminga ed emarginata. Proprio quando lo sconforto stava per ingoiare la mia esistenza, sentii una nuova energia spingermi ad aiutare immigrati, esiliati e profughi a ritrovare la loro dignità. Ho lavorato duro e mi sono impegnata, riuscendo ad entrare nella diplomazia internazionale, portando con me profondi ideali di pace, giustizia ed accettazione. Ho dedicato tutta me stessa a questo progetto, ho represso i miei sentimenti trascurando di essere donna: ho rinunciato ad avere un compagno, una famiglia, dei figli.
E questo è stato un grande errore: occorre equilibrio, non si può vivere solo di ideali. La guerra, la prevaricazione sul più debole, i profughi, la fame e le malattie sono ancora realtà nonostante il mio impegno abnegato. Così ad un certo momento mi sono sentita inutile, disillusa, impotente di fronte alle tragedie dei popoli più poveri e sfruttati. Ripiombai nella tristezza, alla quale tentavo di fuggire cercando una risposta nei testi di differenti religioni. “Ama il prossimo tuo come te stesso”: all’improvviso compresi di aver commesso un errore di fondo; come potevo amare gli altri senza amare me stessa? Come potevo trasmettere agli altri gioia, felicità, amore se dentro di me c’era solo tristezza, sofferenza e angoscia?”
In una pausa emotiva si inserì la voce commossa di Oliviero, che proseguì al suo posto:
“Hai quindi deciso, per la prima volta, di metterti al centro della tua vita, in una ricerca della consapevolezza che cominciasse in te per poter arrivare ad aiutare gli altri… incontrasti allora il rispetto verso i nostri fratelli minori: gli animali”.
“Come si può parlare di pace e di non violenza, di amore per tutto l’universo se per vivere uccido un animale? Se mi nutro di violenza, sarò violenza, se per vivere assimilo cibo di un animale ucciso assumerò la sua paura di morire, la sua angoscia, il suo sentirsi violentato e tradito”, aggiunse Myriam.
“Ed è per questo” continuò Oliviero, “che sei arrivata alla mia stessa scelta, quella vegana, e sei giunta qui per avere delle conferme, per sapere se la tua dieta è ben equilibrata.”
“Questa scelta ha portato un po’ di sollievo nella mia vita, mi ha trasformata, ha aperto uno spiraglio di speranza nel futuro perché sono pienamente convinta che, se fatta da una parte consistente degli esseri umani, porterà finalmente al superamento di guerre e di sfruttamenti, ad una umanità più consapevole e rispettosa. Lo so che mi considererai un po’ matta ed utopica, ma credo davvero che non ci siano strade alternative. È come se adesso riuscissi a vedere da una giusta angolazione, è difficile da spiegare…”
“Ti capisco… credi che i tuoi passi ti abbiano condotta qui per caso?”
“Credo che sia questo il momento in cui le nostre vite dovessero incrociarsi nuovamente per specchiarsi e comprendere. Sono contenta di essere stata desiderata, di essere stata una ragazza carina almeno per te, e sono felice di aver compreso già allora la tua sensibilità verso gli altri, anche se poi la mia inesperienza e la maldicenza altrui mi hanno ingannata. Credo comunque che questa sia stata l’esperienza di vita che cercavamo, che ci ha portato, seppur attraverso differenti percorsi, alle stesse conclusioni.”
Oliviero e Myriam continuano a raccontarsi, a parlare di sé; Oliviero le mostra le foto della propria famiglia, è diventato da poco nonno.
“Adesso puoi immaginare dove ti porterà la tua esperienza di vita?”, chiede Myriam.
“Dentro a questa stanza, per ritrovarmi con quelle parti di me che ho dimenticato. Fra poco ne entrerà una e si siederà qui di fronte, cercando aiuto e consolazione. E tu?”
Myriam si accorge di stare sorridendo, aveva dimenticato come fosse bello:
“Credo che andrò in giro a condividere questo sorriso con chi ha smesso di sognare la pace.”
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